Cosa mangiare a Palermo

Ti invito a pranzo… a Palermo! Se un palermitano vi invita a pranzo e lo fa per la domenica successiva, ecco i consigli: è importante non prendere impegni per tutto il giorno. Il pranzo, in Sicilia, a Palermo, la domenica è un concetto sfumato, non è possibile definirne termini e limiti di ogni sorta. Potrebbe finire anche dopo cena e non ve ne accorgereste nemmeno!

Sarebbe opportuno inoltre, evitare di mangiare il giorno prima, arrivare dotati di forte appetito ma senza farlo notare troppo, l’ospite gode solitamente di eccezionali attenzioni, soprattutto da parte della cuoca, spesso donna, spesso madre e nonna, matriarca di famiglie numerose che continuano a credere nel verghiano remo che si può spingere solo con la forza delle cinque dita.

E’ molto importante non affermare di mangiare poco, solitamente viene infatti interpretato come l’opposto, “ mangio molto, a sazietà, fino allo sfinimento”.
Non dire mai di no, vi toccherebbe la porzione doppia.

Mangiare non è semplicemente rispondere ad un essenziale istinto, per i palermitani è entusiasmare i propri sensi, regalarsi il piacere che le giornate negano in un modo o nell’altro, saziarsi di vita. Provate ad immaginare la sensazione di affettuoso piacere che prova il nonno seduto a capotavola quando a fine giornata vede lì la sua famiglia, cresciuta, cambiata, a volte anche biasimevole, ma lì riunita. Deve essere questo l’orgoglio della famiglia.

Il pranzo è anche un momento ludico, è ritornare bambini oltre che comunicazione. Se un palermitano vi invita a pranzo potrebbe anche voler parlare con voi, come se di fronte ad una pietanza non si potesse rifuggire la sincerità.

Il menù tipicamente siciliano, prevederà due o più piatti della nostra cucina per ogni portata. Saranno esempi della cultura contadina e dei pescatori dell’isola, retaggi arabi e normanni, odori semplici e naturali.

Non mancherebbe di certo un assaggino di caponata come antipasto. In realtà il nome ricorda il capone meglio noto come lampuga, ricercato e pregiato pesce utilizzato dai nobili durante i loro pranzi migliori. Il contadino siciliano, con la sua nota arte dell’arrangiarsi, non fa altro che usare quello che di più abbondante produce il suo raccolto, si industria con le verdure, la melanzana è un ortaggio comune e poco costoso, diventerà dunque la protagonista del piatto.

Ogni famiglia, ogni provincia, ha la sua specifica caponata alla quale non rinuncerebbe; in generale gli altri ingredienti sono olivecapperipassata di pomodoro e l’indispensabile agrodolce che la caratterizza.

Umilissime origini ha anche il primo piatto che potreste facilmente assaggiare: a pasta cu i broccoli arriminati. Tassativamente bucatini, il broccolo, cioè quello che nel resto d’Italia è il cavolfiore verde e a muddica atturratapan grattato tostato, per dare la giusta croccantezza.
Tutto arriminato, mescolato in tegame.

Anche le sarde a beccafico sono un secondo piatto nato dal genio di poveri contadini. Prende il nome dal beccafico: uccello simile alla capinera. Durante le ricche battute di caccia, i nobili ne portavano a casa in quantità, imbandendone così le mense. Semplicemente, i pescatori, sostituiscono quello che non posso avere con ciò che invece abbonda nelle loro dispense.

Allora il beccafico diventa sarda e le interiora del volatile vengono sostituite dalla mollica variamente condita. Anche in questo caso, basta assaggiare la versione palermitana delle sarde a beccafico e confrontarla con quella catanese, per notare le differenze: aglioprezzemolopinoli e uva sultanina nel primo caso, i catanesi aggiungono anche il caciocavallo.

Siamo ancora lontani dalla fine del pranzo ed è il momento di rinfrescarsi un po’ e di pulire la bocca. Una coloratissima insalata di arancefinocchi olive nere, di certo un po’ di cipolla e a completare la perfetta metafora gastronomica della nostra isola, olio extra vergine di oliva e menta.
Siamo pronti per il dolce, per i dolci scusate. La tradizione ne propone talmente tanti che sarebbe un peccato dover scegliere.

Per questioni di comodità è opportuno indicarne soltanto uno che è il principe dei deschi palermitani: il cannolo. Ha per lui già dolcissime parole Cicerone. Riguardo poi alle sue origini, si suppone Caltanissetta e due sono le versioni ufficiali.

Caltanissetta fu luogo di harem di Emiri, le concubine si industriavano a rendere felice il loro uomo. Il cannolo nasce probabilmente da un dolce arabo dalla forma simile ad una banana, ripieno di ricotta mandorle e miele. Probabile una dovuta allusione alle doti del sultano.

All’opposto la seconda versione vuole che siano le monache dei monasteri ad avere inventato il dolce, proposto durante la festa di Carnevale. Potrebbero però essere vere entrambe, tenendo conto che con l’arrivo dei normanni gli Harem si svuotarono e numerose concubine si ritirarono nei conventi.

Qualunque sia l’origine, il cannolo da allora non ha mai smesso di essere il prediletto.
La granita? Certo! Infondo è l’ora della merenda! Non cercate il cucchiaino, non serve. Non c’è granita senza brioche, in compenso la brioche se vuoi puoi mangiarla anche con il gelato. Ancora un consiglio, per mangiarla, si intende morderla; il vero siciliano lo fa, anzi, non concepisce altro modo di mangiare la brioche.

Ammettiamo pure che alla fine del pranzo ci si possa sentire un po’ pesanti, confusi dal nero d’Avola, intontiti dall’ultimo sorso di liquore da chissà quale provincia dell’Isola, vogliamo negare di contro il senso di soddisfazione e allegria?
E finito il pranzo, prendete fiato… è ora di cena!

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